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Meloni promette più gas e armi, in cambio non ottiene nulla


La premier ha affermato di aver intenzione di aumentare la spesa militare e di acquistare gas. Trump ha risposto che non intende fare marcia sui dazi, da cui gli Usa traggono molto vantaggio

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«Importeremo più armi americane, importeremo più gas liquefatto, collaboreremo per lo sviluppo dell’energia nucleare e le nostre imprese italiane investiranno qui negli Stati Uniti 10 miliardi in nuove attività», ha detto Giorgia Meloni a esito dell’incontro alla Casa Bianca con Donald Trump, che l’ha trattata con i guanti, ma senza offrire nulla in cambio.

Anzi, ai cronisti dello studio Ovale ha risposto sì di voler raggiungere un’intesa commerciale con tutti, quandi anche con l’Europa, ma di non aver alcuna intenzione di cambiare idea sui dazi, che stanno rendendo ricca l’America. Insomma, un ko totale per Meloni sul fronte economico.

Ad esempio, sul fronte riarmo Meloni ha promesso di aumentare la spesa militare al due per cento del pil, ovvero di investire altri 10 miliardi di euro l’anno nel settore militare, ma tale decisione verrà ufficializzata solo al summit della Nato di giugno. Perché nel frattempo, al di qua dell’Oceano il suo ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, fatica a far quadrare i contri senza far esplodere la spesa pubblica, venendo quindi meno alle regole di stabilità che vigono in Europa.

Più gas per l’Italia

Passando alla questione energia, la premier si è esposta a dire che l’Italia importerà più energia, ovvero gas liquefatto, il gln, dagli States. Non esattamente una buona notizia per l’indipendenza energetica dell’Italia e dell’Europa che già oggi acquista 350 miliardi di dollari di energia dagli States. Impegnarsi ad accordi di lungo termine nell’acquisto di gas liquefatto americano sarebbe controproducente per l’economia italiana e ci riporterebbe ai tempi in cui l’Italia, grazie a Silvio Berlusconi, si era legata mani e piedi agli accordi di approvvigionamento di gas dalla Russia, anch’essi a lungo termine, congelando qualsiasi alternativa sostenibile energetica.

Di più, l’abbraccio fatale di un accordo, bloccherebbe il tentativo di ridurre la dipendenza dal gas, investendo sulle rinnovabili. E a questo si aggiunge un problema di stoccaggio limitato per l’Italia.

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Le imprese che investono

C’è poi la questione degli investimenti delle imprese italiane, i dieci miliardi di euro di cui la premier ha velocemente accennato durante l’incontro con la stampa avuto in seguito al bilaterale. Meloni riferendosi al potenziale delle società partecipate pubbliche, in primis Fs, ma anche Fincantieri, Enel e Eni, che a fronte di tale investimentoin territorio americano sperano di portare a casa commesse pubbliche americane, per esempio nella realizzazione di tratte ferroviarie ad alta velocità fra le maggiori città statunitensi.

Reazioni made in Italy

Le imprese italiane e relative associazioni di riferimento, da Confindustria, Confartigianato, Coldiretti e così via, hanno accolto l’esito dell’incontro con freddezza e silenzio. Questo perché, premessa l’instabilità e la scarsa credibilità di Donald Trump, hanno interpretato il viaggio di Meloni come un inutile orpello, proprio nel momento in cui con urgenza bisognerebbe lavorare intensamente per trovare una soluzione razionale al problema dell’industria e della manifattura italiana, amputata della quota di export verso gli USa che vale oltre 60 miliardi.

Un tema che non può essere lasciato solo nelle mani del ministro Adolfo Urso, ma che deve essere affrontato direttamente da Palazzo Chigi. Cosa chiedono gli imprenditori? «Per i manifatturieri è importante avere uno scenario chiaro e stabile. E i continui cambiamenti di rotta del presidente degli Stati Uniti sono il principale ostacolo. Che non è rimovibile con un incontro nello Studio Ovale poiché è l’intera politica economica di Trump a seguire la linea del ribaltamento dello status quo, ovvero a mettere in discussione le esportazioni di prodotti made in Italy della nostra industria», dice un imprenditore bresciano a Domani, che spiega come da un lato gli Usa resteranno comunque un mercato primario, ma dall’altro c’è il timore di essere invasi da prodotti cinesi.

Per competere con i cinesi è necessario aumentare la competitività delle imprese italiane, partendo dal costo dell’energia elettrica, spendendo i soldi del Pnrr e modificando le rigidità del Green Deal, pensano gli imprenditori: «Tutte cose che si risolvono a Roma e a Bruxelles». Come a dire che i compiti si fanno a casa, non a Washington. E per quanto riguarda la possibilità di spostare pezzi di manifattura Oltreoceano, gli imprenditori fanno notare che chi ci ha provato, in passato, è andato incontro a un problema di maestranze: ci sono pochi lavoratori interessati all’attività manifatturiera. Inoltre gli americani hanno una forte propensione a spostarsida uno Stato all’altro. Mentre in Italia c’è un forte attaccamento ai territori e alle aziende che, di conseguenza, tendono a investire sulla formazione e a far crescere il personale. Cosa che negli Usa è infattibile». Insomma, gli imprenditori respingono al mittente la possibilità di esportare al di fuori dei confini nazionali la manifattura italiana. Una risposta che va più alle intenzioni di Meloni, che alle speranze di Trump.

Tassi giù in Ue

Sul fronte europeo, invece, la buona notizia per l’economia viene dalla Bce, che ha abbassato nuovamente i tassi d’interesse di 0,25 punti. La governatrice della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ha detto: «L’economia dell’area dell’euro ha acquisito una certa capacità di tenuta agli shock mondiali, ma le prospettive di espansione si sono deteriorate a causa delle crescenti tensioni commerciali. È probabile che la maggiore incertezza riduca la fiducia di famiglie e imprese e che la risposta avversa e volatile dei mercati alle tensioni commerciali determini un inasprimento delle condizioni di finanziamento. Tali fattori possono gravare ulteriormente sulle prospettive economiche per l’area dell’euro». Il riferimento all’inasprimento delle condizioni di finanziamento lascia pensare che la Bce tema che il rialzo dei rendimenti e dell’euro possa contrastare l’effetto dei tagli dei tassi finora realizzati, e costituire un fattore di costo più alto del necessario per famiglie e imprese.

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