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La fine della siderurgia di Stato


Il piano Gambardella collide con il Mercato Comune

A gennaio 1992, lasciata l’Ilva di Taranto, arrivai a Milano con la famiglia. Continuai a seguire le vicende del Siderurgico sulla stampa e attraverso contatti con ex colleghi, tutti disorientati e preoccupati. Avevo lunghe telefonate in particolare con l’ing. Felice Moscariello, presidente del “Sindacato jonico dei dirigenti di aziende industriali” (morirà prematuramente durante i lavori del Consiglio nazionale del sindacato il 18/11/1994 a Napoli) e con l’ing. Francesco Giretti (sarà uno dei protagonisti dei “Tentativi di azionariato siderurgico tarantino”).

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Intanto la città di Taranto, con decreto governativo del 30 novembre 1990, era stata dichiarata “area a rischio ambientale” insieme a Crispiano, Massafra, Montemesola e Statte, per un totale di 564 kmq e 263.614 abitanti.

Proprio in quel tempo, su iniziativa di Alessandro Marescotti, professore di lettere a Taranto, era nata Peacelink, associazione ambientalista che, prima in Italia, utilizzava strumenti telematici per la diffusione delle informazioni sulle tematiche della pace. Alcuni anni dopo, in occasione di una conferenza a Taranto sull’uranio impoverito, Marescotti, sollecitato da una domanda dal pubblico, decise di impegnare Peacelink anche sulle problematiche ambientali, cominciando proprio da quelle della città di Taranto.

Nonostante il buon andamento dello stabilimento di Taranto, il ciclo espansivo siderurgico italiano si arresta e nel 1992 i prezzi dei prodotti siderurgici subiscono una forte flessione che determina la crisi irreversibile dell’Ilva, in una fase in cui intorno all’acciaieria emerge una complessa questione ambientale che interessa l’intera area del capoluogo ionico.

Nel luglio 1992 l’IRI e l’Ilva laminati piani, già costituita da Gambardella, vengono convertite in Società per azioni in funzione della privatizzazione. Grazie ad un accordo raggiunto in sede comunitaria, all’IRI sarà consentito di ripianare i debiti aziendali e di privatizzarsi nel 1993.

A fine anno ’92 c’è un duro scontro tra I.R.I. e Ilva/Finsider sul nuovo piano di Gambardella per il risanamento della siderurgia di Stato.

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Il 20 gennaio 1993 l’I.R.I. comunica a Ilva/Finsider che ha un passivo di 2.000 miliardi.

Il 22 gennaio 1993 Giovanni Gambardella si dimette da tutte le cariche e viene sostituito da Hayao Nakamura, a lungo corrispondente della Nippon Steel per Taranto, mentre nell’orizzonte della siderurgia pubblica si fa strada l’ipotesi della privatizzazione.

Dopo l’uscita di scena di Gambardella è chiaro che le sorti della siderurgia di Stato dipendono ormai dal processo di unificazione europea con unione doganale nel 1992 ed il successivo passaggio alla moneta unica.

I vincoli del Trattato di Maastricht garantivano il principio della libera concorrenza e vietavano gli aiuti di Stato, inclusa la garanzia dello Stato sui debiti delle aziende siderurgiche. In più, il commissario europeo alla Concorrenza Karel Van Miert aveva già contestato all’Italia la concessione di fondi pubblici all’EFIM, che non era più in grado di ripagare i propri debiti, e quindi lo avrebbe fatto anche per l’Ilva. L’Italia si trovava quindi nella necessità di riformare anche il suo settore pubblico siderurgico secondo criteri di gestione più vicini a quelli delle aziende private.

Il governo Ciampi destruttura Ilva/Finsider e fissa  nuovi profili societari

La difficile situazione di Ilva/Finsider viene affrontata dal nuovo governo italiano insediatosi il 29 aprile 1993, in piena esplosione di “mani pulite”. Il nuovo esecutivo, presieduto dall’ex governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, è deciso ad andare fino in fondo con la dismissione delle imprese pubbliche. Al vertice dell’Iri ritorna Romano Prodi e si costituisce il “Comitato permanente di consulenza globale e di garanzia per le privatizzazioni”, presieduto da Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro.

Romano Prodi conferma Hayao Nakamura in Ilva per tagliare 11.500 posti di lavoro.

L’I.M.I. è incaricato di valutare Ilva Laminati Piani (impianti di Taranto e Novi Ligure), su cui incombe lo spettro della liquidazione.

Nell’autunno del 1993 il governo stringe due accordi con Van Miert, Commissario Europeo per l’Industria: il primo auspica la privatizzazione della siderurgia pubblica (entro il 1996) e il secondo fissa al 31 dicembre il termine ultimo per gli interventi finanziari a favore delle imprese pubbliche.

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Vengono confermate: I) Ilva Laminati Piani (ILP) per lo stabilimento di Taranto e i laminatoi a freddo di Cornigliano, Novi Ligure e Torino, sgravati di impianti secondari; II) Acciai Speciali Terni (AST) per lo stabilimento di Terni, specializzato nella produzione di laminati piani in acciai speciali. Così la loro situazione patrimoniale diviene alleggerita per eventuali acquirenti.

L’operazione viene approvata dalla Commissione europea in cambio della chiusura del treno coils di Bagnoli e del depotenziamento del treno nastri 1 e del treno lamiere 1 di Taranto. Il futuro acquirente dovrebbe ridurre la produzione del treno nastri 2 di Taranto o in alternativa eliminare 500.000 tonnellate/anno in un altro impianto di sua proprietà e non aumentare la capacità produttiva per i successivi cinque anni.

Partono le trattative per la cessione delle società

Anticipando l’autorizzazione della Commissione viene emesso il bando di avvio delle trattative per la cessione di Ilp. Il 7 gennaio 1994 giungono undici proposte. Viene fissato il giorno 11 febbraio 1994 per le offerte non vincolanti e poi il 13 maggio per le offerte vincolanti. La sola proposta pervenuta della cordata Miller con legami di Marcegaglia e Abate viene ritenuta insufficiente.

Il giorno 11/05/1994 si insedia il Governo Berlusconi.

Nakamura, che facendo leva sulla valutazione inadeguata che era stata fatta della siderurgia italiana e quindi dell’Ilva, introduce nel nuovo bando due elementi importanti: i due treni di laminazione coils di Taranto sono gli unici su cui può contare la siderurgia italiana; l’Italia è per consumo il secondo mercato in Europa e, essendo già importatrice netta di coils, un ulteriore indebolimento della sua industria produttrice di acciaio avrebbe comportato una dipendenza dall’estero irrimediabile, con grave danno per tutta l’industria metalmeccanica nazionale. Secondo Nakamura, azzerato il precedente processo di privatizzazione, l’IRI dovrebbe affidare la gestione di ILP a un nuovo raggruppamento, capeggiato da Nakamura, costituito da Bear Stearns (Banca d’investimenti USA), affiancata dalla Daiwa (Banca d’investimenti giapponese) e da un partner italiano (preferibilmente IMI). Le tre banche avrebbero piazzato obbligazioni convertibili garantendo a IRI un introito oscillante tra 1.250 e 1.450 miliardi. Entro due anni l’ILP sarebbe stata quotata in borsa rendendo l’azienda una vera e propria public company. La prospettiva indicata da Nakamura avrebbe richiesto almeno due o tre anni. Secondo l’IRI, l’Italia non ha quel tempo.

Il 1° dicembre 1994 il Consiglio d’Amministrazione IRI decide di fissare al 12 dicembre il termine per l’invio delle nuove offerte vincolanti. Giungono solo le proposte di Riva e di Lucchini-Usinor.

Il 10 gennaio 1995 vengono formulate le conclusioni dell’analisi IMI sulle offerte pervenute. Quella di Riva prevede il pagamento di 1.300 miliardi di lire, più il conguaglio pari all’utile consolidato nel 1994.

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La proposta Lucchini-Usinor propone di acquistare subito solo il 50,01% del capitale ad un prezzo di 650 miliardi di lire, più l’eventuale conguaglio pari all’utile consolidato nel 1994, da versare in 12 mesi dalla chiusura del contratto.

La Direzione finanza dell’IRI avvia la trattativa con il gruppo Riva tramite la finanziaria Fire e, tra rialzi, conguagli, dividendi maturati e maturandi, si giunge in totale a 1.820 miliardi di lire.

Da parte sua Riva rende noti i lineamenti del suo piano industriale, peraltro non molto dettagliato, che prevede un investimento di circa 500 miliardi l’anno per i successivi cinque anni per migliorare il mix produttivo sviluppando la produzione a freddo, processo che tra l’altro era già partito con la gestione pubblica.

La sottoscrizione del contratto avviene il 16 marzo 1995; il 3 aprile la compravendita riceve il placet della Commissione europea; il 27 e 28 aprile l’assemblea dei soci ILP sancisce la cessione di ILP al gruppo Riva. La vendita dell’Ilva è stato l’ultimo atto di Prodi nel 1995.

Si conclude la storia della siderurgia pubblica italiana, al termine di un processo ventennale di ristrutturazione. In Italia c’è stata la frammentazione del settore siderurgico mentre in Europa ci sono state acquisizioni e fusioni con la nascita di imprese sempre più grandi.

I tentativi di azionariato siderurgico tarantino

Da parte di “italsiderini tarantini” ci sono stati generosi tentativi di salvare il Siderurgico.

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Un protagonista è stato l’ing. Francesco Giretti, all’epoca presidente del sindacato dirigenti di Taranto, che, “alla fine della fiera”, scrisse l’articolo I tentativi di azionariato siderurgico tarantino sulla rivista “Dirigenti in Puglia” N. 2/95, di cui riporto alcuni passaggi.

Ottobre ’93 – Essendo ormai chiaro che l’I.R.I. intende dismettere lo stabilimento tarantino, i dirigenti locali decidono di partecipare alla gara di acquisto della propria acciaieria e costituiscono, con atto notarile, la S.D.I. Srl (Società Dipendenti Ilva), il cui capitale sociale è costituito da £ 300.000 (trecentomila) pro-capite e la dichiarata volontà di disporre del proprio T.F.R. (Trattamento di Fine Rapporto). Intendono trasmettere, compatti, la propria certezza che gli impianti di Taranto e la relativa gestione sono sicuramente a livello europeo.

La nuova società formula l’offerta e l’IMI la prende in considerazione come eventuale alleato del vincitore.

Anche quadri e impiegati costituiscono l’associazione QUIMDI con finalità simili a quella dei dirigenti. Il loro presidente Enzo Capotorto, che all’Ilva è responsabile delle tecnologie informatiche, dice: “…. Siamo partiti in dieci e abbiamo gia’ ricevuto mille adesioni. Abbiamo scritto a Prodi, affermando la nostra disponibilita’ ad impegnare tutti una quota parte del Tfr (Ndr – trattamento di fine rapporto) per convertirla in azioni. L’ idea, partita dai quadri, è’ piaciuta moltissimo alla Cisl, abbastanza alla Uil, mentre la Cgil e’ apparsa un po’ titubante. Comunque abbiamo gia’ ricevuto adesioni da operai e persino da prepensionati, disposti a tirar fuori contanti”.

L’ingegnere Guido Colavini, numero due dello stabilimento e molto attivo nell’iniziativa, dice: nasce l’embrione dello strumento finanziario, nel quale e’ previsto che confluiscano un po’ tutti i dipendenti interessati. Cio’ che ha davvero entusiasmato noi dirigenti è il successo dei quadri e soprattutto l’adesione degli operai.

Sono presenti anche gli imprenditori di Taranto e di Novi Ligure. 

Dicembre 1993 – Nasce “Tarnofin” SpA di imprenditori di Taranto e Novi Ligure.

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Circa 60 imprenditori di Taranto e Novi Ligure si costituiscono in società con 1 (uno) miliardo di capitale, e poi con varie alleanze (Falk, Marcegaglia, Abate, Miller) nel marzo 1994 offrirono 400 miliardi per il 30% di ILP. L’aumento non avvenne mai per contrasti tra i soci. Il 5 aprile ’95 Tarnofin si è messa in liquidazione perché: a) voleva essere partner industriale e non solo partner finanziario; b) il passaggio del prezzo di vendita da 1.400 a 2.500 miliardi ha fatto cadere la possibilità che Tarnofin possedesse il 10% di ILP.

C’è stata anche una guasconata di De Marzo

Taranto 12.9.94

All’ON. GIULIANO FERRARA

Ministro per i Rapporti

con il Parlamento

Palazzo Chigi – Piazza Colonna – 00100 ROMA

Gentilissimo Ministro,

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desidero sottoporle alcune riflessioni sulla privatizzazione dell’ILVA LAMINATI PIANI.

In dibattiti politico/sindacali locali, in interventi sul Corriere del Giorno (quotidiano locale), in incontri informali con imprenditori tarantini e milanesi ho già espresso quanto sto per esporre anche a lei. Tutti sono concordi con le mie analisi, osservazioni e proiezioni ma non succede nulla, si stringono nelle spalle come se ci fosse un destino ineluttabile oppure che le decisioni appartenessero a extraterrestri.

Mi è venuto un dubbio: quelle che dico sono fesserie che ascoltano solo per educazione oppure sono cose valide che richiedono però ben altri interlocutori, attenti a interessi più generali, con poteri più ampi?

Ho pensato così di rivolgermi a lei che è intelligente, coraggioso, spregiudicato e passionale e quindi certamente in grado di valorizzare quanto le dirò, se lo riterrà valido. Se invece non farà niente, mi consolerò con il pensiero di averci provato anche con un ….. peso massimo.

II tema è rognoso e complesso. Richiede approfondimenti, visione realistica del futuro, nessun preconcetto, determinazione e convincimento di lavorare per il “futuro” e non per la “sola bottega”. Spero che legga queste “Riflessioni sulla privatizzazione dell’ILVA” e che dia un seguito alla cosa. Le allego anche il mio curriculum professionale per attestare che non sono proprio uno sprovveduto e che ho vissuto personalmente le vicende di cui parlo.

La mia disponibilità è totale anche perché, nella mia condizione di pensionato a forza, avrei tempo e modo di mettere a disposizione l’esperienza accumulata in tanti anni di lavoro.

Con la speranza di ricevere sue indicazioni la saluto cordialmente.

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Biagio De Marzo

Il ministro non rispose. Quelle “Riflessioni”, a suo tempo dibattute e vanamente condivise da politici, sindacati e cittadini di Taranto, staranno bene nella prossima puntata di questa Cronistoria, come inane tassello del “come poteva andare”.

Biagio De Marzo

(12. continua)

* Federmanager Taranto














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