Più che la guerra dei dazi, ad allarmare uno dei più stimati economisti a livello internazionale come Carlo Cottarelli, è la possibilità della guerra vera. Quella che nessuno ha ancora il coraggio di chiamare a voce alta terza guerra mondiale ma che per la prima volta non sembra più una barzelletta nel “dorato” mondo della più lunga pace di cui l’Occidente abbia mai goduto, pur scordando che il resto del mondo di guerre era affollato. Quanto al conflitto, invece, commerciale, Cottarelli, che è fondamentalmente figlio di quel Fondo monetario internazionale da cui la sua brillante carriera è iniziata come direttore del Dipartimento affari fiscali e con l’autorevolezza di uno che, comunque la pensi, di cose ne sa, tranquillizza sui dazi di Trump. “Il Fondo monetario internazionale – dice- ha appena delineato un possibile impatto dei dazi sull’economia mondiale che non sarà così pesante come lo sono state la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia da coronavirus”.
Dichiarando di sperare che un accordo Usa-Europa sia possibile: “Se ci si ferma a questo punto, non pare che i dazi possano essere causa di recessione, non sarà un disastro insomma. il Fondo monetario prevede un rallentamento ma non una recessione, neanche in USA. In Europa, dove partiamo da un livello di crescita già basso, non verrebbe tolto molto, solo uno 0,2%”. Conclusione ottimistica, comunque da brividi: “Se non ci sarà la terza guerra mondiale, non sarà un disastro. Tuttavia l’economia italiana continuerà a non crescere senza la volontà politica di fare le riforme che servono alla crescita, a cominciare da quella della burocrazia. Ma chi ha mai eletto un governo perché ha come obiettivo principale questo tipo di riforme?”.
Cottarelli è adesso direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani presso l’università Cattolica di Milano, dopo essere stato direttore esecutivo del Fmi e, ancora prima, nel 2013, commissario straordinario per la spending review del governo Letta, ricordato nell’immaginario collettivo come “Mister spending review” ma anche come l’uomo del trolley avanti e indietro per e dal Quirinale, sempre disponibile a dare una mano ma anche a ritirarsi in nome dell’interesse generale, quando, chiamato a Roma dal presidente Mattarella nel 2018 per formare un governo tecnico, se ne torna a Milano immediatamente, avendo intravisto la possibilità di farne uno politico.
Di dazi, situazione economica italiana e di guerra, Cottarelli parla per quasi un’ora durante la Giornata dell’economia recentemente indetta dalla Camera di Commercio di Firenze, in cui il presidente e il segretario generale fiorentini, Massimo Manetti e Giuseppe Salvini, hanno presentato il Rapporto 2025 sull’economia provinciale, elaborato dalla Camera, che delinea un possibile calo dell’export locale fino a 800 milioni di euro se dovessero essere confermati i dazi americani nelle percentuali ipotizzate qualche settimana fa (20% per le merci, 25% per le auto) , che però l’economista definisce evitabili sulla base di un prevedibile accordo Usa-Europa o riducibili al massimo a un 10 per cento.
Trump non fa tremare Cottarelli anche se ovviamente l’ottimismo è cauto: “Resta la preoccupazione che ci possa essere un’escalation, si riparta con nuovi dazi. Soprattutto nuoce questa incertezza di fondo che impedisce piani di spesa”. Ancora di più però pesano le riforme mai fatte in Italia e, tragicamente, quella minaccia di guerra su cui l’economista non fa tanti giri di parole. Il problema sta tra gli Usa e la Cina, avverte. “Il vero avversario economico di Trump è la Cina”, premette, e fin qui noi tranquillizziamoci. Ma non troppo: Cottarelli con la medesima pacata ma implacabile precisione con cui si occupa di economia spiega come la storia insegni “che un conflitto mondiale scoppia quando ci sono due potenze che possono spartirsi il potere nel mondo. E per la prima volta, dopo tanto tempo, adesso ci sono, mentre non c’erano ai tempi della guerra fredda tra Usa e Urss, avendo quest’ultima la metà del potere degli Stati Uniti.
Invece ora gli USA hanno il 25% del potere mondiale e la Cina il 20% che però già li supera quanto a produttività. Gli Usa emergono solo nell’AI ma la Cina si affretta negli investimenti in materia e primeggia rispetto agli americani quanto a terre rare e produzione di acciaio. Gli USA hanno più testate nucleari, ma la Cina accelera le spese militari. Se guardiamo la storia, la crescita molto forte di un paese può portare a un conflitto. La Cina sta rallentando mi obietterete. Ma il rallentamento causa maggiore aggressività perché o adesso o mai più, si ragiona”.
Torniamo a questo punto al comunque meno angoscioso problema dei dazi: “Trump vuole castigare soprattutto la Cina. Solo dopo ha esteso la guerra dei dazi al resto del mondo, ma si è reso conto che non può combattere contro tutti, per questo credo che alla fine l’accordo Usa-Europa ci sarà. Dopotutto, le richieste degli americani potrebbero essere positive anche per l’Italia, per esempio la semplificazione della troppa burocrazia che da noi è un ostacolo non solo per le imprese americane ma anche per le nostre”.
Ed eccoci al punto. Cottarelli ripercorre la storia economica italiana dell’ultimo ventennio e non fa sconti. Se non cresciamo, la responsabilità è più nostra che di eventuali dazi, secondo l’economista che è più ottimista su Trump che sulla volontà politica nostrana di rimuovere gli storici problemi strutturali e soggettivi del paese che ne hanno impedito e impediscono la crescita economica. Su tutto, il continuare a non mettere mano alle riforme dirette alla crescita economica, sostiene. Per prima, insiste, la riforma della “pesante burocrazia italiana” che l’esperto di economia ricorda gravare anche sulle imprese, indicando come “assolutamente urgente una semplificazione che renda più veloci percorsi imprenditoriali da noi tanto più lenti e macchinosi che negli altri paesi”.
“La carenza di riforme dirette a risolvere i problemi economici del paese – dice – è la prima causa di una crescita italiana insufficiente e sotto ai livelli medi. Qualcosa, anche se non abbastanza, è stato fatto solo per la giustizia, perlomeno per abbreviare il corso dei processi che tuttavia resta sempre più lento che altrove. Siamo però perlomeno passati a una media di 5 anni e 2 mesi per venire a capo di tutti e tre i gradi di processo dai 10 di otto anni fa, ma siamo ancora al doppio di tempo della Germania e sopra i tre anni e 5 mesi di Francia a Spagna. Resta, inoltre, intatta la paralisi provocata dalla valanga di regole, i cosiddetti famosi ‘lacci e laccioli’ , che bloccano tutto, anche i sindaci. Come ci si ostina a non riformare la gestione della pubblica amministrazione”.
La scarsità di crescita non è improvvisa. “Alcuni dei nostri problemi economici si trascinano nel tempo – spiega Cottarelli – Gli ultimi 25 anni non sono andati mai bene per la nostra economia, il pil ha cominciato a diminuire dagli anni ‘90, ma era soprattutto un problema demografico: il crollo delle nascite era iniziato nei ‘70 e dopo vent’anni c’erano meno giovani che andavano al lavoro”. Dopodiché, avverte l’economista, per 20 anni il pil non è mai ricresciuto ed “è stato il peggior ventennio economico della nostra storia. Per vari gruppi di ragioni. La prima, strutturale: la burocrazia pesante, la giustizia lenta, il problema demografico, il gap Nord-Sud, il costo dell’energia. Tutte caratteristiche che, con la globalizzazione e la concorrenza, hanno fatto precipitare la situazione.
La seconda ragione si basa su motivi soggettivi, non si tratta dell’adozione dell’euro che era giusto fare ma della cattiva gestione del passaggio da lira a euro per cui siamo andati avanti come se ci fosse ancora la lira, scordandosi che non potevamo più svalutare e producendo un’ inflazione più alta della Germania con cui invece avremmo dovuto tenere i prezzi in linea, ricordandoci che siamo pur sempre il secondo paese manifatturiero d’Europa. Senza più crescere, siamo arrivati fino alla crisi globale del 2008 e con i mercati finanziari che non prestavano più soldi a paesi come l’Italia, la Grecia, il Portogallo, la Spagna scommettendo che sarebbero usciti dall’euro. Siamo finalmente risaliti tra il 2014 e il 2019 solo dopo l’ “Whatever it takes”, nel 2012, di Draghi, allora governatore della Bce, la Banca centrale europea che ha dato sostegno a tutti i paesi dell’area euro ma in particolare a quelli sotto attacco speculativo come noi”.
Ma dopo poco, continua la storia dell’economia raccontata da Cottarelli, siamo ripiombati nella crisi per via del Covid da cui siamo emersi, come è noto, tramite l’Europa e il Pnrr. “Ci sono addirittura arrivati più soldi di quanto avessimo bisogno permettendoci perfino di saldare i debiti con il settore privato e siamo passati dal meno 9 di pil del 2020 al più 8 del 2021 e il più 4,8 del 2022. Una crescita, però, solo per merito della cura Draghi e Bce e dei tanti soldi del Pnrr. Siamo addirittura cresciuti più della media degli altri paesi dell’area euro. Ma aumentava anche l’inflazione: del 6% nel 21, fino all’11% del 2022. Poi la Bce ha iniziato a dare di meno e ci siamo normalizzati pur non tornando a essere il fanalino di coda dell’Europa. Meloni, al governo dall’ottobre 2022 ha gridato al miracolo ma non è vero: stavamo già tornando alla normalità, fino a una modesta crescita dello 0,9 contro l’1,1% della Ue. Non pari, dunque, ma, poco al di sotto degli altri e non per merito nostro ma perché il resto dell’Europa, in particolare la Germania, avevano rallentato”.
Ora, per il 2025, ricorda Cottarelli, la previsione del pil era di un più 1,2, già abbassata allo 0,6. “Un calo dato come conseguenza dei dazi che in realtà, come ripeto ha appena analizzato il Fondo monetario internazionale, contano poco ”. Il vero disastro è in seno a noi, insiste, ovvero nel non fare le riforme necessarie. Cosicché la mancanza di una svolta concreta fa sì che “anche il Pnrr sia una meraviglia solo a vederlo da lontano perché in realtà, anche se si sono fatti molti progetti, nel contesto dato hanno forse abbellito le città ma non aumentato la nostra capacità di crescita economica”.
In foto Carlo Cottarelli
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